Bentrovate e bentrovati, illustrissimi serialcrushers (esiste? Si può usare? Vi fa schifo?) ad una nuova e delirante puntata della rubrica che si occupa di fare luce sulle abitudini psicotrope di quelli che scrivono le sinossi di Netflix.
Nell’episodio pilota mi sono limitato a portarvi una triade di esempi minori di come Netflix spinga in qualche modo una congiura globale contro quelli che di serie tv non ne sanno una cippa (e nemmeno si informano), impedendo loro di conoscere veramente la sinossi di un prodotto che vorrebbero visionare, tramite la pubblicazione di sinossi strampalate o deliberatamente irriverenti (cfr. Friends che i vostri appartamenti li schifa).
Da questa seconda puntata in poi, alterneremo completamente a cazzo di cane privi di un rigoroso piano strategico semplici prese in giro con vere e proprie rivisitazioni in chiave immaginifica delle serie tv stesse, così come me le immagino io, senza averle mai viste e basandomi unicamente su quei deliranti paragrafetti bianco su nero offerti da Hastings.
Pronti? Pronti?
Partiamo con un classicone rivisitato che io, da bravo ottuagenario, ricordavo solo in forma di anime tristerrimo figlio di quella ondata di cartoni animati giapponesi che sembravano tutti scritti da Lord Byron e la Austen (salvo poi scoprire, in età leggermente meno tenera, che quell’anime di Isao Takahata era effettivamente tratto da un romanzo inglese di inizio Novecento):
CHIAMATEMI ANNA
…E IL 20% IN MENO DI GRASSI!
Questa sinossi fa parte della categoria da me ribattezzata “Emanuela Folliero“.
Non perché abbia qualcosa contro la bellissima ex-annunciatrice, ma perché, più che una sinossi, sembra proprio uno di quei lanci -figli della fine degli anni ’80- che le varie Folliero, Golia & co. facevano prima di una film, sulle varie reti del gruppo di Berloosconee.
Ve la ricordate la sigla?
“Anna dai capelli rossi vaaaa…..volerà come una rondineeeee…” ma poi precipiterà perché ha la testa troppo grande per il volo.
Và! Và che idrocefalo!
Per umiliare ingiustamente la nostra prossima vittima vorrei fare un più deciso salto verso il paese del Sol Levante, per una produzione Made In Netflix che non è tratta da nessun romanzo britannico, pur conservando -almeno nell’estetica- un certo gusto “coloniale”.
VIOLET EVERGARDEN
Allora, partendo dal presupposto che sono una persona orribile e che, per parecchio tempo, ho letto il titolo di questo anime facendo un lapsus involontario e credendo che si intitolasse “Violetta Beauregarde” (vi lascio il piacere di scoprire chi sia e, no, non intendo il personaggio della Fabbrica di Cioccolato. Occhio però che siamo decisamente in territorio NSFW) a me questa sinossi provoca crisi di ilarità incontrollate.
Sarò strano io, sarò uno stronzo cinico, ma l’abbrivio dell’anime me lo immagino così:
Persona Speciale: Violet, avvicinati, sento il bisogno di dirti una cosa
Violet: Oh cielo, cosa dovrai mai dirmi Persona Speciale?
Persona Speciale: Lo scoprirai presto, vieni più vicina
Violet: Eccomi, Persona Speciale! Ah senti, già che ci siamo…cosa ne dici se ti chiamo solo Speciale?
Persona Speciale (molto concitato): Vieni più vicina!
Violet: Sì!
Persona Speciale: Ancora più vicinaaaaaa!
Violet: Sìììììììììììì!
Persona Speciale (sussurrando all’orecchio): Antani spirigudi prebembemem
Violet: Eh?
Persona Speciale: SUCAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
-si allontana nella nebbia-
No? Mi sbaglio?
Certo che mi sbaglio, basta un giro su Wikipedia per scoprire, con una sinossi in grazia di Galactus, che le cose sono decisamente diverse e IMMENSAMENTE più tristi.
Ma il paragrafo descrittivo che Netflix ci dà è solo quello.
Ed è tutto, per ora!
Appuntamento alla puntata di settimana prossima, dove parleremo di ipertricosi pre e post puberale.